Musicoterapia-Umberto Vitiello

Umberto Vitiello

Musicoterapia

Sono diciotto anni ormai che oltre ad occuparmi di musica mi occupo anche di musicoterapia.

Contrariamente a quanto molti credono, i due ambiti non sono necessariamente in simbiosi. 

La musica è senza dubbio elemento comune, ma non è detto che un buon musicista possa essere un buon musicoterapeuta, così come non è detto che un buon musicoterapeuta sia in grado di gestire un palcoscenico o abbia particolari qualità artistiche.
Tenderei piuttosto per esperienza ad azzardare che quasi mai le due pratiche convivano in armonia.

È solo grazie ad una "fortunata coincidenza astrale" credo, che nel mio caso una disciplina sia andata quasi subito a favore dell'altra e viceversa.

Le esperienze sul palcoscenico mi hanno suggerito spesso efficaci strategie di comunicazione non verbale, così come la musicoterapia mi ha insegnato ad ascoltare più attentamente chi sta condividendo con me l'emozione di un palcoscenico.




Un ricordo di Gianluigi

Nell'autunno del 2002 ero in pieno fermento decisionale e volevo saperne qualcosa di più sulla musicoterapia. 
Ebbi quindi occasione grazie a mio zio, Vittorio Antonellini, di conoscere personalmente Gianluigi Di Franco; mi era noto il suo passato di musicista, cantante ed autore ma poco sapevo del suo presente di pioniere della musicoterapia in Italia.

La mia idea di cosa fosse la m.t. era talmente confusa che niente sarebbe stato meglio di un colloquio con una delle massime autorità in questa disciplina per capire se, e come, intraprendere un percorso formativo.

Incontrai Di Franco all'ISFOM di Napoli e nelle due ore circa passate insieme si dimostrò estremamente esaustivo, appassionato e convincente.

Il mio curriculum e le mie attitudini gli parvero subito adeguati alla causa e mi suggerì varie soluzioni per orientarmi.

Dopo quell'incontro non lo vidi più e non so se seppe mai che avevo cominciato la formazione.

Purtroppo non mi fu possibile seguire tutti i suoi consigli e il mio percorso si rivelò piuttosto atipico, ma forse proprio per questo più ricco di impressioni e punti di vista diversi.

Sono certo comunque che se oggi Gianluigi fosse ancora vivo, avremmo trovato il modo di incontrarci molto più spesso.
 

          Di_Franco_2



                                                        La FEDIM e la SB.M.E.
Inserirsi a 48 anni in un ambito formativo non è cosa semplice ma confrontarsi con "compagni di studio" molto più giovani può suggerire stimoli particolarmente positivi.
Ho frequentato due scuole di musicoterapia diverse tra loro come impostazione e filosofia, ma entrambe eccezionali sotto il profilo dell' arricchimento esperienziale e culturale.
Devo moltissimo a Stefano Martini e a Luca Bernar, a Mario Corradini e a Paolo Alberto Caneva, ad Alicia Barauskas e ad Ezio Magliano, per come hanno saputo gestire una personalità musicale eclettica ed inquieta consentendole di arrivare a percezioni e visioni differenti dell'elemento suono e delle sue possibilità relazionali.
Gli ottimi rapporti istauratisi hanno fatto inoltre si che dopo la formazione io abbia collaborato con entrambe le scuole.

                                  Brutto_Anatroccolo


                          Il progetto STRUMENTI A PERCUSSIONE E MUSICOTERAPIA

Nel 2006 ho realizzato insieme a Paolo Alberto Caneva, che ritengo uno dei più competenti musicoterapeuti italiani, un dvd che tratta l'impiego di strumenti a percussione in musicoterapia.

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Questa pubblicazione didattica si rivolge principalmente ai musicoterapeuti che vogliono approfondire la loro conoscenza degli strumenti a percussione

spesso utilizzati nei setting di musicoterapia

ma può risultare un valido supporto anche per insegnanti di musica e di sostegno,

musicisti e percussionisti


 

Solo dieci anni fa, all’ufficio anagrafe del mio comune di residenza, al momento di scrivere la mia professione, l’impiegato perplesso mi rispose: «musico che?». Allora solo gli addetti ai lavori possedevano a fatica i primi strumenti epistemologici per definirsi. Oggi possiamo tranquillamente dichiarare qual’è il nostro lavoro e “quasi tutti” ammettono di averne sentito quantomeno parlare. Giornali, televisioni, radio, sempre più spesso dedicano spazi alla musicoterapia e questo permette l’evolversi di un senso comune relativo alla nostra professione. Ovviamente quando l’informazione cerca il sensazionalismo non sempre i contenuti tracciano profili completi. E’ così che sempre più spesso l’idea che per prima viene associata alla musicoterapia è quella di un’ esperienza in cui qualcuno - l’operatore in musicoterapia - fa suonare un disco, mentre qualcun altro - il paziente – ascolta, e grazie a questo ascolto sperimenta una modificazione di segno positivo rispetto al prima di tale esperienza. Quello che non sempre passa dall’informazione veicolata dai mass media, è che la musicoterapia come disciplina si declina in una pluralità di pratiche. All’interno di questa pluralità, le tecniche che prevedono percorsi basati sull’ascolto rappresentano solo una delle possibili “modalità applicative”. Buona parte della comunità internazionale degli operatori di musicoterapia prevede infatti metodi attivi e creativi in cui operatore e paziente insieme creano, improvvisano, eseguono, esplorano, servendosi di strumenti musicali. Questo lavoro si inserisce quindi nel filone di quelle che vengono definite le tecniche musicoterapiche attive e creative.

(Paolo Alberto Caneva)


 

Il rapporto dell’uomo con la “dimensione ritmica” è antico e solo parzialmente conosciuto ed esplorato. Prima ancora di essere costruttore e produttore consapevole di strumenti ed eventi ciclici nel tempo, l’essere umano è intriso di moduli ritmici essenziali alla sua sopravvivenza biologica e sociale. Senza paura di essere smentiti potremmo affermare che la vita dell’uomo è tutta una performance ritmica… anzi, poliritmica. Sistole e diastole, inspirazione ed espirazione ci fanno vivere. I passi e i movimenti pendolari delle braccia ci fanno muovere nello spazio. I turni di ascolto e produzione durante una conversazione ci permettono di comunicare. Il ritmo del tempo in anni, mesi, stagioni, giorni, ore, minuti, ci da una struttura organizzativa indispensabile per una convivenza sociale e l’elaborazione del pensiero (prima, dopo, passato, presente, futuro). Veniamo concepiti e cresciamo, durante i nostri primi nove mesi di vita, in un ambiente acusticamente protetto ed ovattato dove però distinguiamo nitidamente i battiti del cuore della nostra mamma. Un ritmo regolare e nella norma significa buona salute e quindi vita. Ma il ritmo scandisce la vita dell’uomo in tutte le sue sfere: lavoro (canti ritmici per sincronizzare le azioni), momenti di svago (balli e danze, slogan allo stadio), appartenenza sociale (marce patriottiche, slogan politici,), azioni di guerra (marce militari, tamburi, scudi percossi per intimorire il nemico). E’ proprio questo inscindibile legame biologico che rende il ritmo il più primitivo tra tutti i parametri della musica: ogni melodia ha un ritmo, ogni armonia ha un ritmo. In tutte le culture, in ogni angolo del pianeta dalla notte dei tempi, l’uomo ha sottolineato questa “parentela” con il ritmo in mille forme, servendosi del corpo (mani, piedi, voce, ballo) e costruendo dispositivi che amplificassero questa predisposizione naturale: i tamburi. Tutti questi fattori ci fanno collocare il ritmo e gli strumenti percussivi in una posizione che consideriamo privilegiata per coloro che fanno musicoterapia.

(Umberto Vitiello)

 

Un lavoro molto interessante e originale quello dei due valenti musicoterapisti (oltre che musicisti) Paolo Caneva e Umberto Vitiello.

I due autori si propongono infatti con questa opera di dare una panoramicaa 360 gradi sugli strumenti a percussione utilizzabili nelle varie branche della musicoterapia.

Il lavoro viene svolto in maniera sistematica e torrenziale: più di cento strumenti provenienti da tutto il mondo vengono mostrati e suonati dai due polistrumentisti, coadiuvati da alcuni ospiti, tra i quali spicca Carlo Di Francesco.

Gli strumenti sono catalogati per categorie: membranofoni a una pelle, a due pelli, idiofoni, tamburi a fessura, gong, campane, percussioni metalliche e addirittura strumenti costruiti con materiali riciclati.

Un altro tipo di classificazione proposta è quella funzionale.

Tamburi verticali, tamburi a cornice e risuonatori di vario tipo vengono mostrati nelle principali applicazioni di musicoterapia.

Addirittura un capitolo è riservato alla scelta dei battenti e delle pelli.

In poche parole, in questo video si trova tutto quello che chi si avvicina a questa professione dovrebbe conoscere.

Ma anche chi, semplicemente, volesse avvicinarsi al grande universo delle percussioni e conoscere alcuni degli strumenti più utilizzati dai percussionisti di tutto il mondo troverà interessantissimo questo lavoro.

(Antonio Gentile) 
Recensione redatta sul numero 179 della rivista PERCUSSIONI - dic. 2006

 


20181002_174539               COSA PENSO DELLA MUSICOTERAPIA



Credo che non esista la musicoterapia intesa come concetto e forma assoluti ed unici, ma che esistano piuttosto le musicoterapie, dunque forme ed applicazioni diverse di terapia attraverso la musica.

Le differenze sostanziali che ho riscontrato tra i vari modelli musicoterapici sono:

• partecipazione passiva o attiva dell'utente

• modalità comunicativa verbale o non-verbale

• utilizzo di musica registrata piuttosto che di strumenti musicali .

Nella mia concezione di m.t. è fondamentale favorire quanto più possibile la produzione musicale dell'utente, facilitandola. Non escludo però eventuali modalità di ascolto passivo di musica suonata o registrata, ogni qualvolta sia necessario.

In questa visione attiva della musicoterapia, le attitudini del terapeuta sono determinanti per l'efficacia del lavoro con il facilitato.

Il musicoterapeuta/ista deve essere un musicista ed avere la maggior padronanza possibile di quanti più strumenti possibili.

Questo non significa che ogni buon musicista possa diventare un buon musicoterapista/euta.


 

20181002_162257            COSA SI PENSA DELLA MUSICOTERAPIA



Sono in tanti a vederla diversamente da me.

Per esempio sono in tanti a considerare la musica alla stregua di medicina allopatica, attribuendo specifiche proprietà terapeutiche a vari brani musicali, catalogati e stockati come se fossero medicinali da banco.

E'di martedì 3 gennaio 2012 un articolo sul quotidiano La Repubblica a parlare proprio di questo, dicendo che tre noti psicologi americani hanno stabilito le playlist ottimali per risolvere problemi di ansia, stress, depressione, agitazione, etc.

Voglio riportarne un divertente estratto:


Galina Mindlin, Don Durousseau e Joseph Cardillo sono tre big della psicologia e della divulgazione. E lo studio si presenta proprio come un manuale: "10 modi per cui la vostra musica favorita può rivoluzionare la vostra salute, memoria, organizzazione, attenzione e molto di più". Gli americani, si sa, sono fatti così: tutta ginnastica, anche per la mente. Ma lo dice anche quello snob inglese di mister Sting: "La vostra mente è uno strumento potente e questo libro vi aiuterà a rimodellare il ritmo della vostra vita".

Naturalmente nelle playlist c'è anche lui: Every Breath You Take dei suoi Police è - come Imagine - tra i brani che mettono calma ('grazie a quel ritmo trascinante che fa rilassare corpo e mente'). Altro esempio di canzone che riduce l'ansia? New York New York: sì, proprio l'inno di Frank Sinatra alla città che non dorme mai è al contrario estremamente rilassante per via di quel ritmo dondolante (27 beat al minuto, dicono gli esperti) che ammalia. Per non parlare di quella canzone positiva già nel titolo, Here Comes The Sun dei Beatles: come fai a non rasserenarti al pensiero del sole che arriva?

E se i Favolosi Quattro sono ideali per il relax, i loro sempiterni rivali serviranno naturalmente a ridarci la carica: e Brown Sugar dei Rolling Stones, che mica tanto velatamente già accennava appunto all'aiutino sintetico, è infatti nella lista delle canzoni che danno energia. Dove i nostri esperti hanno moltiplicato davvero gli sforzi: costruendo playlist particolari che creano uno stato di allerta che aumenta proporzionalmente con la velocità appunto dei beat per minuto, in codice Bpm.

Così da Pride (The Name of Love) degli U2, 106 Bpm, si finisce a Don't Phunk with My Heart del Black Eyed Peas, 130 Bpm, passando per Lady Madonna sempre dei Beatles, 110. Oppure da Back on the Chain Gang dei Pretenders, 138 Bpm, l'ideale da mettere su per ritrovare l'energia per mettere a posto la casa, si sale fino a The Power of Love di Huey Lewis and the News, 155 Bpm.


 

Inoltre, prendendo spunto da precedenti articoli e pubblicazioni, e continuando a sorridere, vi invito a provare
 

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Per l'insonnia:

- Notturno di Chopin (op. 9 n°3; op. 15 n°22; op. 32 n°1; op. 62 n°1)

- Preludio per il riposo del Fauno di Debussy

- Canone in Re di Pachelbel
 

Per l'ipertensione:

- Le Quattro Stagioni di Vivaldi

- Serenata n°13 in Sol maggiore di Mozart
 

Contro la depressione:

- Concerto per Piano n°5 di Rachmaninov

- Musica Acquatica di Haendel

- Concerto per Violino di Beethoven

- Sinfonia n°8 di Dvorak
 

Per l'ansia:

- Concerto di Aranjuez de Rodrigo

- (di nuovo) Le Quattro Stagioni di Vivaldi (devono essere un pò come un antibiotico a largo spettro)

- La Sinfonia Linz, k425 di Mozart
 

Per il mal di testa:

- Il Sogno d'amore di Listz

- La Serenata di Shubert

- L'Inno al Sole di Rimsky - Korsakov
 

Per il mal di pancia:

- Musica da Tavola di Telemann

- Concerto per Arpa di Haendel

- Concerto per Oboe di Vivaldi
 

Ed infine per "caricarsi":

- La Suite Karalia di Sibelius

- Serenata per Archi op.48 di Tchaikovsky

- Ouverture del Guglielmo Tell di Rossini


 

Beninteso che mi trovo d'accordo con questi signori sul fatto che ascoltar musica non possa che far bene, ma per me la musicoterapia è altro ed immagino difficile, se non impossibile, la somministrazione di tali "pillole" alla maggior parte degli utenti con cui abitualmente lavoro (tossicodipendenze, adolescenti a rischio, autismo, disturbi dell'attenzione, iperattività, ritardi cognitivi etc.) con i quali si può riuscire invece ad avere buoni risultati attraverso un coinvolgimento attivo.

Ovviamente in tutti quei casi in cui l'utente sia impossibilitato ad una partecipazione attiva, si potrà proporre una modalità di ascolto passivo, sia di musica registrata su vari supporti (cd - cassette - minidisc - computer - etc.), sia di musica suonata direttamente dall'operatore.

Sarà utile, però, non avere, in generale, una visione troppo dogmatica e statica circa la scelta del repertorio, e proporsi sempre e comunque nel modo più interattivo possibile.

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                             PEUTA, PATA, IATRA, PISTA, O...... MUSITRAPEZISTA ?

Sono tanti, dicevo, a vederla differentemente da me, così come sono tanti anche gli psichiatri melomani o gli psicoterapeuti con sindrome chitarristica che gravitano in modo spesso egemonico nell'universo della m.t.

Per non parlare poi di neo-laureati-brevi, o meno brevi, che possono fregiarsi della qualifica di musicoterapeuta senza aver mai frequentato nessuna scuola specifica.

La questione è contorta ma proverò a spiegarmi:

In Italia la musicoterapia non è ancora riconosciuta ufficialmente.

Per contro l'Italia è l'unico paese dove chi si occupa di tale disciplina viene chiamato ufficiosamente in due differenti modi:

musicoterapeuta, se ha un titolo di laurea e musicoterapista se non lo ha.

Negli altri Paesi infatti esiste l'unico appellativo di musictherapist.

Non voglio entrare in merito alla questione delle lauree brevi, che in tre anni possono, secondo questa distinzione tutta italiana, fregiare il neo-laureato in sociologia o in psicologia dell'appellativo di musicoterapeuta a patto che sappia fare un giro di do alla chitarra, mentre un musicista professionista ma non laureato pur studiando per quattro anni materie concernenti esclusivamente la m.t. avrà il riduttivo appellativo di musicoterapista.

 

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Ma il bello è che, sempre secondo la legge italiana, un professionista iscritto all'albo, così come potrebbe esserlo uno psicoterapeuta, non può fregiarsi di un ulteriore titolo non riconosciuto dallo Stato.

Dunque la distinzione oltre che iniqua è anche fuorilegge...!

Perchè allora questa distinzione?

Perchè attribuire maggiori competenze a chi poi di fatto ne ha sicuramente meno?

E soprattutto perchè ognuno non fa soltanto ciò che sa fare?

Senza sconfinare egemonicamente in ambiti che non sono propriamente i suoi.....

....e piuttosto non si lavora sistematicamente in equipe?

Personalmente mi definisco musicoterapeuta o musicoterapista a seconda delle giornate o dei vari momenti della giornata, e la scelta del termine è puramente casuale.

Potrei anche definirmi musicopata o musichiatra o musitrapezista (espressione recentemente coniata da qualcuno di Musicoterapia Democratica) ma attendo comunque con ansia la possibilità di avere anche in Italia un unico termine per definire la categoria.


                                               JUAKALI DRUMMERS

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Nel 2005 mi sono recato due volte a Nairobi, in Kenya, per coadiuvare il musicista/percussionista Giovanni Lo Cascio nell'avvio del progetto Juakali Drummers .

Tale progetto di laboratorio musicale, sostenuto dalla Fondation Dulcimer pour la Musique e da AMREF , rientrava nel più ampio progetto dell' AMREF Children in need , attivo dal 1998 nel sobborgo di Dagoretti, a Nairobi.

In questa metropoli africana sono presenti circa 130.000 ragazzi di strada, e il progetto Children in need è finalizzato al recupero e al reinserimento sociale di questi ragazzi abbandonati, spesso orfani dell'AIDS, che vivono ai margini della società nelle discariche delle baraccopoli, soggetti a fame, malattie, violenza, prostituzione, droga.

Il centro AMREF di Dagoretti è guidato da John Muiruri , un assistente sociale impegnato da vent'anni nel recupero dei ragazzi di strada.

Le attività del centro vanno dall'assistenza medica e alimentare al counselling individuale e familiare, dall'istruzione di base allo sviluppo di piccoli progetti di microcredito, dall'assistenza legale ad attività artistico-formative come il teatro, la musica, la danza.
 

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Attraverso la musica e le sue funzioni aggregative, di gioco e disciplina, il laboratorio si proponeva di attrarre, motivare e valorizzare i ragazzi, sia nella loro individualità sia come membri di una comunità, creando uno spazio di formazione musicale permanente.

Oggi i JUAKALI DRUMMERS o SLUM DRUMMERS sono una realtà che ha potuto trasferire nel proprio Paese e in giro per il mondo un forte senso di identità artistica e sociale.
 

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